Ci siamo lasciati la vendemmia alle spalle da quasi un mese, il mosto è diventato vino, e la temperatura si sta inevitabilmente abbassando di giorno in giorno. L’odissea dell’enologo certamente non si conclude con la fine della fermentazione alcolica; il vino infatti è biologicamente instabile e l’uomo deve fare il necessario per preservare il suo potenziale qualitativo. In questo breve articolo vi spiegherò un’altra importante tappa della vinificazione: la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. La Fermentazione Malolattica

La fermentazione malolattica avviene ad opera di batteri lattici che con il loro metabolismo trasformano l’acido malico, naturalmente presente, nell’acido lattico. Quest’ultimo abbassa leggermente l’acidità del vino, e di conseguenza lo rende più morbido al palato. L’acido malico fornisce una sensazione nettamente più acida, simile a quella di una mela acerba. Solitamente gradito nei vini bianchi giovani, fornisce freschezza e longevità. L’acido lattico al contrario è meno agressivo al palato, fornisce una sensazione uniforme, più rotonda, che ben si adatta ai vini rossi strutturati e ai bianchi da invecchiamento.

Molto gradito negli chardonnay della Borgogna evoluti in barriques, dato che si sposa in maniera ottimale con le sostanze cedute dal legno. Certamente uno dei motivi di maggior validità è la riduzione dell’eccessiva acidità di questi vini, ma non è l’unico; l’acido lattico è biologicamente stabile, quindi non può essere soggetto ad alterazioni, di conseguenza è di grande aiuto, soprattutto per un naturale decorso della vita del vino.

Nei bianchi del Collio solitamente non viene attuata, dato il naturale bilanciamento dell’acidità naturale, l’uso di vasche in acciaio per l’affinamento, e la presenza di varietà di uve con una matrice fruttata.
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